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PAPÀ
s.m.
Genitore, babbo. Il vocabolo tipico della parlata di Garfagnana è babbo, mentre papà viene ritenuto un francesismo di importazione: ora è certamente vero che in Francia non si usa il termine ‘babbo’ e le persone chiamano il padre papà, ma è altrettanto vero che (come osserva correttamente Mestica, 164) le tre parole indicanti i genitori (mamma, papà, babbo) non son altro che la ripetizione delle sillabe ma, pa, ba, ovvero le prime che i bambini pronunciano. Comunque, se babbo è più diffuso e forse preferibile per gli italiani, papà è ben presente nel dialetto garf. (Bonini, Rosario, 80: “State cheto, papà che questa sera / nun apiam tempo di podé prega’ ”; Pennacchi, La prutesta, 52: “Gianni, Gianni, guarda là / la tu’ mamma e il mi’ papà”). Oggi, forse per influssi esterni, ma certamente assai spesso, molte persone chiamano papà il proprio babbo. Nelle novelle registrate da Venturelli, nel volume più volte citato, il vocabolo ricorre con grande frequenza (Il mondo di sotto, 51; L’albero dell’idolo del Sole, 71). Anche nelle “Fole di Garfagnana”, (Il mago Barbablù, 1,11; Leonida dai capelli d’oro, 1, 16) torna reiteratamente la parola papà.