Dizionario garfagnino

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BÒTA

s.f.

Rospo, anfibio degli anuri, simile alla rana. Per quanto si tratti di due specie diverse (e l’uno non sia il maschio dell’altra), il vocabolo – benché riferito principalmente al rospo – a volte identifica entrambe le bestie. È frequente la variante bodda. Si sente usare anche l’accr. boton, ma per lo più con significato traslato (ved. infra). Pennacchi utilizza il vocabolo nel titolo e nel testo della poesia La bota e la topaceca, 30. Un proverbio locale, per significare l’affetto che ogni madre porta ai suoi figli, recita: alla bota j garba il su’botin (boddin o butin). Da notare che il dialetto garf. conosce anche il termine rospo impiegato però solo in senso figurato, in espressioni (comuni, a volte, anche alla lingua italiana) nelle quali non sentiremo mai adoperare bota; così verrà detto: ho ingollato un rospo (per alludere al fatto d’esser stato costretto ad accettare una cosa incresciosa); quel rospo (per indicare una persona ruvida, che non ama la compagnia, né cura le amorevolezze); ed anche, con espressione tipica, nel senso di ‘persona singolare, tipica, estrosa’. Assai curiosa la locuz. Idiom. garf., di ignota derivazione, ricordata dal maestro Poli chiama’ le bote per indicare uno strumento da taglio che ha perso il filo e non fa più la sua funzione (questo coltello chiama le bote: mierà fallo arota’ o cambiallo). Battaglia, II, 328 riporta il vocabolo botta definendolo di etimo sconosciuto, mentre Mestica, 218 fa derivare la parola da una radice but indicante gonfiezza (da cui anche ‘botte’). Devoto-Oli, 309 pensano invece ad un germ. butta ‘calzatura grossolana’.